Quarant´anni fa, nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, un terremoto tra i peggiori che la storia italiana ricordi devastò la valle del Belice.
Belice, nella memoria storica degli italiani, è sinonimo di corruzione, mafia, inefficienza dello stato.
Baracche di lamiera e miseria nera finirono in prima pagina sui giornali e sulle tv del mondo, scatenando gare di solidarietà e indignazione.
Tra i più indignati, l'intellettuale nonviolento Danilo Dolci che evidenziò lo stretto rapporto tra Democrazia Cristiana siciliana e mafia.
I miliardi stanziati per la ricostruzione (che non fu mai iniziata, al punto che ancor oggi alcune famiglie abitano quelle baracche di lamiera) sparirono.
Una pagina della nostra storia collettiva che molti vorrebbero cancellare dai ricordi. Perché scomoda. E poi, basta con questa mafia (chi ricorda il cardinale Ruffini e le sue massime?).
Per noi che non ci stanchiamo mai di ricordare, la trasmissione Fahrenheit di Radio3 Rai dedicherà la puntata di questa sera alla tragedia ed al lungo e travagliato percorso della ricostruzione.
Io, più semplicemente, riporto un articolo del giornalista dell'Ora di Palermo, Mario Farinella, corso tra i primi sul luogo del terremoto.
Viaggio nel Belice fra dramma e pietà
di Mario Farinella
giornalista del quotidiano palermitano "L'Ora"
Sono ancora sulla via del ritorno e già tutto appare labile, ondeggiante, e riesce faticoso ricollocare nella realtà le tremende e disperate immagini che chilometro dopo chilometro mi lascio dietro chiedendo a me stesso fino a qual punto possano giungere la pietà e la collera. Un viaggio di otto ore che già appare lontanissimo e fuori da ogni dimensione. Eravamo partiti stamane con l´autocolonna apprestata dal nostro giornale: tre camion carichi di pane, latte e coperte. Volevamo raggiungere i paesi devastati attraverso la strada di montagna che arrampicandosi per Corleone scende poi verso l´Agrigentino.
Entrando in ogni paese, anche in quelli più lontani dall´epicentro, sentivamo di inoltrarci dentro il cuore gelato e impazzito di intere popolazioni: deserta Corleone, quasi abbandonata Campofiorito.
Distante, gettata in fondo a una strada tortuosa e sconvolta Contessa Entellina che ha avuto la sua vittima e se ne sta ora rannicchiata nel suo terrore; Chiusa Sclafani, Giuliana, livide con la neve ammucchiata ai bordi delle strade. Ma la prima vera sensazione di tragedia, oltre che consumata, tuttora incombente, la si avverte nel vasto e desolato pianoro di Misilbesi, da dove si dipartono le strade che portano a Menfi e a Sciacca da una parte e, dall´altra, a Santa Margherita e su, poi, verso la distrutta Montevago.
È su questo pianoro che si arrestano tutti i camion dei soccorsi indecisi sulla direzione da imboccare e le centinaia di auto che giungono da ogni parte della Sicilia, dell´Italia e dell´estero piene di gente che vuol tornare ai paesi.
Lo spiazzo è presidiato dalla polizia stradale che agita la sua paletta per dare via libera, l´agente posto al centro del crocevia avverte i viaggiatori del pericolo cui vanno incontro inoltrandosi verso le zone terremotate, ma nessuno torna indietro.
Vedremo, man mano che andremo avanti nel nostro viaggio, come ci sia un dramma, ignorato fin´ora, nell´ambito della più grande tragedia: il dramma delle popolazioni che, anche se non colpite o appena sfiorate dal sisma, vagano prive di tutto per le campagne o formano raggruppamenti lungo le strade senza speranza di trovar cibo e indumenti, completamente ignorati dalle colonne di soccorso che sfrecciano dinanzi ai loro occhi dirette verso la meta funesta che è Santa Margherita.
E a Santa Margherita siamo arrivati anche noi o, meglio, la nostra auto e due camion; il terzo autocarro non si è fermato: forse perché il camionista ci ha perso di vista, forse perché terrorizzato da quel primo agghiacciante spettacolo di rovine. Fatto si è che ha filato dritto verso Montevago, ignorando forse di andare incontro ad uno scenario ancora più atroce (...). Lo blocchiamo quasi alle porte di Menfi. Al camionista chiediamo spiegazioni del suo comportamento
«Sono arrivato a Montevago - si giustifica - e il prefetto mi ha detto che non hanno bisogno di viveri...». Balbetta, ha gli occhi sbarrati. Fermi su una grande pianura battuta da un vento gelido, guadiamo Menfi lontana e, oltre Menfi, una striscia di piombo: il mare. Non c´è anima viva tutt´intorno e stiamo per tornare indietro con l´automezzo riconquistato, ma improvvisamente ci troviamo circondati da dieci, venti, cento uomini. Da dove sbucano? Non ci sono case né anfratti tutt´intorno. E ora emergono dalla foschia anche donne e bambini: avanzano prima circospetti, poi sempre più audaci nella loro manovra di accerchiamento.
«Non mangiamo da quattro giorni».
«I camion non si fermano».
«Nessuno pensa a noi».
«Abbiamo pur diritto ad un pezzo di pane».
È gente di Menfi che ha abbandonato il paese ai primi crolli e non vuole tornare. Vuole il nostro pane e il nostro latte. Cominciamo a scaricare. Appena hanno in mano una pagnotta l´addentano con rabbia. La distribuzione dura un´ora e più. Quel che è rimasto lo portiamo alla scuola di Menfi dove le autorità rinserrano i pochi viveri esistenti e subito viene ordinata la chiusura dei cancelli. Come guidata dall´odore del pane, una folla crescente s´avvicina alle sbarre, preme e protesta: vuole mangiare e subito. Da Menfi torniamo a Santa Margherita dove attendono gli altri due camion della colonna. Vice prefetto e funzionari spariti, il sindaco sempre introvabile. «C´è Nenni - ci dicono - sono con Nenni». Un tale ci guarda e sorride: avvolto in un grosso cappotto sdrucito, più che pallido giallo, spettrale, sporco di polvere, con la barba ispida. Ma sì, è lui, il corrispondente del nostro giornale, il ragionier Lo Iacono: «Non ho potuto telefonare, qui non funziona niente. Spero che sarò scusato». Così dice mestamente porgendoci la mano: «Ho perduto tutto, la casa è crollata, non ho più niente e muoio di freddo» (...).
Lo Stato, la Sicilia ufficiale stanno a guardare. Non c´è un automezzo che porti lo stemma della Repubblica, niente che stia a significare la presenza della Regione autonoma. Soltanto stamattina, a Santa Margherita, è cominciata a spuntare qualche tenda, mentre ottomila persone s´aggirano notte e giorno alla mercé di se stesse.
Belice, nella memoria storica degli italiani, è sinonimo di corruzione, mafia, inefficienza dello stato.
Baracche di lamiera e miseria nera finirono in prima pagina sui giornali e sulle tv del mondo, scatenando gare di solidarietà e indignazione.
Tra i più indignati, l'intellettuale nonviolento Danilo Dolci che evidenziò lo stretto rapporto tra Democrazia Cristiana siciliana e mafia.
I miliardi stanziati per la ricostruzione (che non fu mai iniziata, al punto che ancor oggi alcune famiglie abitano quelle baracche di lamiera) sparirono.
Una pagina della nostra storia collettiva che molti vorrebbero cancellare dai ricordi. Perché scomoda. E poi, basta con questa mafia (chi ricorda il cardinale Ruffini e le sue massime?).
Per noi che non ci stanchiamo mai di ricordare, la trasmissione Fahrenheit di Radio3 Rai dedicherà la puntata di questa sera alla tragedia ed al lungo e travagliato percorso della ricostruzione.
Io, più semplicemente, riporto un articolo del giornalista dell'Ora di Palermo, Mario Farinella, corso tra i primi sul luogo del terremoto.
Viaggio nel Belice fra dramma e pietà
di Mario Farinella
giornalista del quotidiano palermitano "L'Ora"
Sono ancora sulla via del ritorno e già tutto appare labile, ondeggiante, e riesce faticoso ricollocare nella realtà le tremende e disperate immagini che chilometro dopo chilometro mi lascio dietro chiedendo a me stesso fino a qual punto possano giungere la pietà e la collera. Un viaggio di otto ore che già appare lontanissimo e fuori da ogni dimensione. Eravamo partiti stamane con l´autocolonna apprestata dal nostro giornale: tre camion carichi di pane, latte e coperte. Volevamo raggiungere i paesi devastati attraverso la strada di montagna che arrampicandosi per Corleone scende poi verso l´Agrigentino.
Entrando in ogni paese, anche in quelli più lontani dall´epicentro, sentivamo di inoltrarci dentro il cuore gelato e impazzito di intere popolazioni: deserta Corleone, quasi abbandonata Campofiorito.
Distante, gettata in fondo a una strada tortuosa e sconvolta Contessa Entellina che ha avuto la sua vittima e se ne sta ora rannicchiata nel suo terrore; Chiusa Sclafani, Giuliana, livide con la neve ammucchiata ai bordi delle strade. Ma la prima vera sensazione di tragedia, oltre che consumata, tuttora incombente, la si avverte nel vasto e desolato pianoro di Misilbesi, da dove si dipartono le strade che portano a Menfi e a Sciacca da una parte e, dall´altra, a Santa Margherita e su, poi, verso la distrutta Montevago.
È su questo pianoro che si arrestano tutti i camion dei soccorsi indecisi sulla direzione da imboccare e le centinaia di auto che giungono da ogni parte della Sicilia, dell´Italia e dell´estero piene di gente che vuol tornare ai paesi.
Lo spiazzo è presidiato dalla polizia stradale che agita la sua paletta per dare via libera, l´agente posto al centro del crocevia avverte i viaggiatori del pericolo cui vanno incontro inoltrandosi verso le zone terremotate, ma nessuno torna indietro.
Vedremo, man mano che andremo avanti nel nostro viaggio, come ci sia un dramma, ignorato fin´ora, nell´ambito della più grande tragedia: il dramma delle popolazioni che, anche se non colpite o appena sfiorate dal sisma, vagano prive di tutto per le campagne o formano raggruppamenti lungo le strade senza speranza di trovar cibo e indumenti, completamente ignorati dalle colonne di soccorso che sfrecciano dinanzi ai loro occhi dirette verso la meta funesta che è Santa Margherita.
E a Santa Margherita siamo arrivati anche noi o, meglio, la nostra auto e due camion; il terzo autocarro non si è fermato: forse perché il camionista ci ha perso di vista, forse perché terrorizzato da quel primo agghiacciante spettacolo di rovine. Fatto si è che ha filato dritto verso Montevago, ignorando forse di andare incontro ad uno scenario ancora più atroce (...). Lo blocchiamo quasi alle porte di Menfi. Al camionista chiediamo spiegazioni del suo comportamento
«Sono arrivato a Montevago - si giustifica - e il prefetto mi ha detto che non hanno bisogno di viveri...». Balbetta, ha gli occhi sbarrati. Fermi su una grande pianura battuta da un vento gelido, guadiamo Menfi lontana e, oltre Menfi, una striscia di piombo: il mare. Non c´è anima viva tutt´intorno e stiamo per tornare indietro con l´automezzo riconquistato, ma improvvisamente ci troviamo circondati da dieci, venti, cento uomini. Da dove sbucano? Non ci sono case né anfratti tutt´intorno. E ora emergono dalla foschia anche donne e bambini: avanzano prima circospetti, poi sempre più audaci nella loro manovra di accerchiamento.
«Non mangiamo da quattro giorni».
«I camion non si fermano».
«Nessuno pensa a noi».
«Abbiamo pur diritto ad un pezzo di pane».
È gente di Menfi che ha abbandonato il paese ai primi crolli e non vuole tornare. Vuole il nostro pane e il nostro latte. Cominciamo a scaricare. Appena hanno in mano una pagnotta l´addentano con rabbia. La distribuzione dura un´ora e più. Quel che è rimasto lo portiamo alla scuola di Menfi dove le autorità rinserrano i pochi viveri esistenti e subito viene ordinata la chiusura dei cancelli. Come guidata dall´odore del pane, una folla crescente s´avvicina alle sbarre, preme e protesta: vuole mangiare e subito. Da Menfi torniamo a Santa Margherita dove attendono gli altri due camion della colonna. Vice prefetto e funzionari spariti, il sindaco sempre introvabile. «C´è Nenni - ci dicono - sono con Nenni». Un tale ci guarda e sorride: avvolto in un grosso cappotto sdrucito, più che pallido giallo, spettrale, sporco di polvere, con la barba ispida. Ma sì, è lui, il corrispondente del nostro giornale, il ragionier Lo Iacono: «Non ho potuto telefonare, qui non funziona niente. Spero che sarò scusato». Così dice mestamente porgendoci la mano: «Ho perduto tutto, la casa è crollata, non ho più niente e muoio di freddo» (...).
Lo Stato, la Sicilia ufficiale stanno a guardare. Non c´è un automezzo che porti lo stemma della Repubblica, niente che stia a significare la presenza della Regione autonoma. Soltanto stamattina, a Santa Margherita, è cominciata a spuntare qualche tenda, mentre ottomila persone s´aggirano notte e giorno alla mercé di se stesse.
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